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Guido Pagliarino
LA TRASFORMAZIONE
saggio sull'eterno corpo glorioso spirituale e sul nulla eterno infernale (secondo l’antropologia cristiana nei secoli I e II), Libro ed E-book
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Libro Tektime ISBN 9788873046387
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E-book Tektime ISBN 9788873046370
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I - L’ETERNO CORPO
La trasformazione-resurrezione
Il corpo umano materiale psichico
Sui cristiani cattolici e sugli gnostici cristianeggianti (a volte
impropriamente detti cristiani gnostici)
Cenni all’idea d’inferno vissuto derivante dalla platonizzazione del
Cristianesimo
Il corpo umano e la sua trasformazione secondo san Paolo
II - OTTICHE ANTROPOLOGICHE CRISTIANE E CRISTIANEGGIANTI
III - RISURREZIONE DEL SOLO ANIMO UMANO SECONDO I PLATONICI E GLI GNOSTICI
CRISTIANEGGIANTI
Dualismo greco e gnostico e semidualismo cristiano platonizzato: cenni
In particolare, la risurrezione del solo Animo di Cristo secondo la concezione
degli gnostici doceti
In particolare, Origene, l’apocatastasi e l’inferno a termine
IV - RISURREZIONE DEL CORPO UMANO CON LA PROPRIA PSICHE
V - L’UOMO GESÙ DI NAZARETH È EBREO, NON È GRECO, DUNQUE DA EBREO RAGIONA, NON
DA GRECO
La kenosi divina
L’ebreo Gesù
Gesù non greco
VI - PIÙ DIFFUSAMENTE SULL’ANIMA NEL CRISTIANESIMO A FAR CAPO DAL II SECOLO
VII - SUI NOVISSIMI
L’inferno ‘alla Dante’ e l’inferno secondo i primi cristiani
Il Dio del Cristianesimo e del Giudaismo non è dualista
A proposito del contestato Purgatorio
Purgatorio durante la vita sulla terra? Purgatorio istantaneo?
A proposito di Paradiso
Voltaire e la risurrezione del corpo
Qualcosa sull’inesistente limbo
In conclusione
APPENDICE 1 Abbreviazioni dei nomi dei libri biblici
APPENDICE 2 - I ventun concili ecumenici della Chiesa e tracce dei rispettivi
argomenti trattati
Presentazione del saggio “La Trasformazione” Top
L'opera parla dell'eternità gloriosa dell'essere umano dopo la sua morte fisica, in conseguenza della trasformazione in spirituale della sua persona secondo il pensiero cristiano del I e del II secolo, prima della platonizzazione del cristianesimo e della conseguente, atroce, idea d'inferno “alla Dante” vissuto eternamente. Quanto è scritto nel saggio è conforme ai versetti neotestamentari e a testi di scrittori ecclesiastici antichi. Stralcio dall'incipit: Nel suo “Dizionario filosofico” Voltaire deride l’idea di risurrezione del corpo umano, concetto che per i cristiani è verità rivelata. Lo scrittore e filosofo fa presente che uomini e animali possono in realtà essere nutriti dalla sostanza di predecessori, perché il corpo d’un essere umano sepolto e putrefatto nella terra ovvero le ceneri del suo cadavere bruciato cadute sulla stessa si trasformano in frumento o altri vegetali che sono mangiati da altri uomini […]. Ritenendo d’aver distrutto l’idea farisaica-cristiana di resurrezione degli esseri umani, egli osserva: quando si dovrà risuscitare, come sarà possibile che ognuno abbia il corpo che gli apparteneva, senza perderne almeno una parte? […] In realtà […] chi conosca il Nuovo testamento e, in questo, le Lettere di Paolo, con l’espressione risurrezione del corpo non intende una seconda vivificazione delle nostre molecole; infatti nella prima Lettera ai Corinzi Paolo dice che, a imitazione di quello di Gesú risorto, il nostro corpo risorgerà in altra forma: in forma gloriosa spirituale; più esattamente l’apostolo dei gentili scrive che il nostro mortale corpo animale nonché psichico, perché dotato di ragione-io, si trasformerà in eterno corpo glorioso e pneumatico. Stralci dalla conclusione: Relativamente alla vita eterna secondo l'idea cristiana del I secolo e di buona parte del II, cioè per il cristianesimo dell’età apostolica e dei sei-sette decenni successivi - epoca dei padri apostolici e dei primi apologisti - [...] possiamo dire in sintesi che alla morte d’un essere umano giusto, cioè o santo o con peccati veniali, il suo corpo col suo io, ovvero la persona intera, senza soluzione di continuità risuscita nello Spirito divino trasformata in persona gloriosa spirituale: in parole comuni, si tratta del Paradiso; nel caso tuttavia di peccati veniali, ella dovrà prima passare, essendo ancora chiusa entro il tempo (secondo il Concilio di Trento, che parla di pena temporanea e non la situa espressamente dopo la morte), attraverso un istante di purgatorio (psichico), momento che potrà venir da Dio dilatato nella mente del morente quanto basta per dargli, appunto, il tempo di pentirsi perfettamente durante il passaggio dal di qua all'Aldilà: il purgatorio non può essere nel Trascendente, dove non si è assoggettati al divenire ma si vive nell'Essere eterno senza principio né fine. Per quanto riguarda invece il peccatore (chi in vita ha odiato senza pentirsi Dio e il prossimo) impenitente fin all'ultimo istante di vita, cioè la persona che ha scelto coscientemente la dannazione, non risorge né mai risorgerà: è il cosiddetto inferno”; la dannazione è cioè il fallimento della propria esistenza, è l'essere venuto dal nulla e il tornare al nulla per sempre, anziché trasformarsi in persona spirituale e vivere eternamente in Dio come avviene, invece, per i beati, cioè per coloro che su questa terra hanno amato il prossimo e, se credenti, hanno amato Dio (i non credenti, purché in in buona fede, non hanno, solo perché atei, ostacoli alla Salvezza, secondo il dettato del Concilio Vaticano II).
Prime pagine del saggio Top
I - L’ETERNO CORPO
La trasformazione-resurrezione
Nel suo “Dizionario filosofico” Voltaire deride l’idea di risurrezione del corpo
umano, concetto che per i cristiani è verità rivelata. Lo scrittore e filosofo
fa presente che uomini e animali possono in realtà essere nutriti dalla sostanza
di predecessori, perché il corpo d’un essere umano sepolto e putrefatto nella
terra ovvero le ceneri del suo cadavere bruciato cadute sulla stessa si
trasformano in frumento o altri vegetali che sono mangiati da altri uomini;
così, soggiunge sarcastico, Caino mangiò una parte di Adamo, Henoc di Caino,
Irad di Henoc, Mehuïael di Irad e Matusalemme di Mehuiael e, in breve, non c'è
nessuno che non abbia mangiato una piccola porzione del primo progenitore, per
cui tutti gli esseri umani sono antropofagi. La cosa, continua il filosofo, è
più che evidente dopo una battaglia in cui ammazziamo nostri fratelli: in capo a
due o tre anni, li abbiamo mangiati nelle messi raccolte sul campo della stessa
battaglia; anche noi, sentenzia, saremo mangiati un giorno. Ritenendo d’aver
distrutto l’idea farisaica-cristiana di resurrezione degli esseri umani, egli
osserva: quando si dovrà risuscitare, come sarà possibile che ognuno abbia il
corpo che gli apparteneva, senza perderne almeno una parte? Cita poi lo
scienziato e filosofo cartesiano padre Nicolas Malebranche il quale, secondo
Voltaire, prova la verità della resurrezione con l'esempio dei bruchi che
diventano farfalle; ma tale prova, commenta, è altrettanto fragile delle ali
degli insetti che il religioso cita.
In realtà quella del Malebranche non vuol essere una prova ma è una mera
similitudine; il cristiano che conosca il Nuovo testamento e, in questo, le
Lettere di san Paolo, con l’espressione risurrezione del corpo non intende una
seconda vivificazione delle nostre molecole; infatti nella prima Lettera ai
Corinzi Paolo dice che, a imitazione di quello di Gesú risorto, il nostro corpo
risorgerà in altra forma: in forma gloriosa spirituale; più esattamente
l’apostolo dei gentili scrive che il nostro mortale corpo animale nonché
psichico, perché dotato di ragione-io, si trasformerà in eterno corpo glorioso e
pneumatico. Lo dice dopo aver premesso un’allegoria, che si semina un chicco e
sorge una spiga, la quale è in un certo senso quel seme ma non è più, in senso
stretto, il seme che è marcito: nessuno di quelli della spiga è il chicco
seminato ma, in nuova forma gloriosa, quella spiga intera è il seme marcito. La
chimica e la fisica non c’entrano, non ha nessuna importanza che la materia del
corpo d’un sepolto finisca in quella d’una pianta e che esseri umani mangino i
suoi frutti e assumano quella materia, per il Cristianesimo ciò che risuscita è
la persona in forma sublime, gloriosa spirituale, appunto: Gesú, per chi crede
ai Vangeli, nel presentarsi risorto agli apostoli entra in un luogo chiuso senza
passare per la porta, ciò che sarebbe inconciliabile col principio
dell’impenetrabilità dei corpi se il trascendente Risorto fosse fatto di
immanente materia.
Torneremo sull’argomento della trasformazione secondo san Paolo. Intanto, avendo
stabilito tale concetto e sgombrato l’equivoco che con risurrezione s’intenda
nel Cristianesimo un corpo di carne e sangue che rivive tal quale, vediamo come
il Nuovo testamento, che per i credenti è Parola di Dio, presenta il corpo umano
vivente su questa terra.
Il corpo umano materiale psichico
Che su questa terra una persona, oltre al proprio corpo dotato di io o anima –
psyché –, abbia un individuale animo, o spirito o pneuma – pneyma – creato
sostanzialmente immortale non è stato provato né da metafisiche e religioni
orientali né, in occidente, dai pitagorici, da Platone e dai platonici e neppure
è stato dimostrato dal Padre della Chiesa sant’Agostino (354-430) il quale,
influenzato dalla lettura delle Enneadi del neoplatonico Plotino, su di una
tradizione spiritualista ormai stabile nella teologia dei suoi tempi,
semplicemente, assunse che l’anima umana è pneumatica e immortale, divenendo coi
suoi scritti il tramite più importante nella Chiesa fra le idee platoniche e il
Cristianesimo. Che ogni essere umano abbia un pensiero personale, una
personalità, non può essere sufficiente perché si possa parlare senz’altro di
suo pneuma particolare. È sperimentale il fatto che siamo corpi umani con una
psiche la quale muta e s’accresce con l’esperienza – la cultura – grazie alle
sinapsi del cervello che consentono alle cellule nervose del cerebro stesso, i
neuroni, d’interagire con l’ambiente. È in altri termini sperimentale che
abbiamo un corpo materiale-animale psichico, proprio come afferma, nella
neotestamentaria prima lettera ai Corinzi, l’ebreo convertito a Cristo
Saulo-Paolo: siamo in uno dei primissimi anni 50 del I secolo e la Chiesa è solo
alle origini e dalla predicazione orale apostolica stanno cominciando a nascere
i libri del Nuovo testamento; siamo a molti secoli prima della nascita dello
spiritualista Agostino d’Ippona. Non si può intendere San Paolo se lo si
consideri uno spiritualista, egli non è platonico, non parla affatto di pneuma
personale dell’essere umano su questa terra; e anche per gli altri ebrei ogni
uomo è solo il proprio corpo, che ha sì anima, ma nel senso di psiche, di io,
cioè è un corpo umano pensante, mentre spirito o pneuma – ruach, a volte
traslitterato come ruàh – è solo Jahvè il Creatore. Peraltro l’uomo è
diversificato dagli altri viventi dal fatto d’essere creato a immagine e
somiglianza di Dio (Gen 1,26): importano meno di tale espressione gli altri
vocaboli e concetti dell’antropologia religiosa ebraica, vale a dire che ogni
uomo è unione inseparabile di nefesh, vita o vitalità, (psyché nelle traduzioni
in greco, psiche o anima in italiano) e di bashar (sarx nelle traduzioni in
greco, da non confondere, come vedremo, con soma che nelle lettere di san Paolo
è il corpo della persona in grazia di Dio): bashar è la carne viva dell’uomo,
cioè il suo corpo materiale-animale.
Nell’Antico testamento troviamo questi concetti e le parole che li descrivono
nei testi della Torah (Pentateuco per i cristiani), scritti fra il VII e il IV
secolo a.C. e, più precisamente, fra il V e il IV i libri Genesi, Esodo,
Levitico, Numeri, mentre il Deuteronomio, parola che dignifica Seconda Legge, è
forse situabile nel VII secolo in una prima stesura perduta detta “libro
dell’Alleanza”, ne parla il successivo libro 2 Re (22, 3-20), e sicuramente è
scritto nel V secolo il testo giunto a noi. Troppo lungo sarebbe parlare qui
della formazione e della datazione dei libri veterotestamentari, ma volendo
approfondire si può vedere il saggio divulgativo di Guido Pagliarino “Il Vento
dell'Amore”, Tektime Editore, 2018.
La nefesh o anima non è dunque per la Bibbia qualcosa di separabile dal corpo e
capace di sopravvivere senza di esso.
Un po’ come nella Grecia del IV secolo avanti Cristo è per Aristotele (384-322
a.C.) anche se c’è chi, richiamandosi alla Metafisica aristotelica, libro XII,
3, 1070, ritiene che questo filosofo non escluda la sopravvivenza dello spirito
intellettivo individuale, e lo vedremo un po’ meglio qualche rigo oltre. Intanto
si consideri che per lo Stagirita l’Essere non è il Dio-Amore incarnato e
umanissimo dei cristiani e nemmeno è l’ebraico Jahvè, sollecito e paterno verso
il suo popolo eletto anche se, come tutti i padri dell’antichità, può punire
assai severamente; il Dio aristotelico pensa solo a ciò che è perfetto, cioè
pensa solo sé stesso, dunque ignora il mondo anche se questo, dopotutto, muove
perché c’è lui; dunque, il Dio d’Aristotele non considera gli uomini e men che
mai li ama, mentre sono essi a doverlo amare proprio perché è perfetto, e
difatti l’anima umana è attratta dall’Essere senza ch’egli si muova verso di
essa. Però la stessa anima tende all’Essere solo durante la propria vita terrena
perché, come s’è detto, non sopravvive al proprio corpo. Com’è noto, l’anima è
contemplata in modo specifico da Aristotele nei tre libri del trattato
intitolato appunto Dell’Anima; il filosofo si chiede se corpo e anima siano tra
loro separabili e se la seconda abbia la potenzialità di passare,
reincarnandosi, da corpo a corpo come pensavano Platone e prima di lui i
Pitagorici, oppure se, finendo il corpo d’esistere, cessi anche la sua anima.
Per Aristotele quelle che chiama affezioni o attività dell’anima non possono
esserci senza il relativo corpo, ad esempio l’ira, che per la scienza del suo
tempo deriva dal bollire del sangue, non può esserci senza il medesimo plasma, e
il corpo dev’essere fornito di strumenti di senso per poterli esercitare sulla
realtà, cioè dev’essere dotato di organi affinché possa esserci un’anima che
intende la realtà: senza gli orecchi, ad esempio, l’anima non sente, e però per
lo Stagirita noi sentiamo non perché abbiamo gli orecchi, ché se questi per
ipotesi fossero staccati dal corpo non udiremmo, ad esempio il cadavere fresco
ha ancora orecchi non decomposti ma non sente più, bensì perché attraverso gli
orecchi è l’anima che ode (la moderna fisiologia sa bene che non è l’apparato
uditivo in sé che sente e che esso è solo strumento, però la stessa fisiologia
afferma che l’apparato uditivo è strumento del cervello e non dell’anima).
Insomma, per Aristotele l’uomo vive in quanto ha corpo e anima, perché egli è il
loro insieme, sinolo, e dunque, in opposizione a Platone, in Dell’Anima
Aristotele giunge a negare la sopravvivenza della stessa anima umana. Si diceva
poco sopra che questo filosofo può anche dare l’impressione d’avere una sia pur
debole speranza di vita eterna. Parrebbe preferibile l’idea opposta, anche se
questo non appare in Dell’Anima ma nella Metafisica: Aristotele scrive nel XII
libro della stessa: ‘Se, poi, rimanga qualcosa anche dopo, è problema che resta
da esaminare. Per alcuni esseri nulla lo vieta: per esempio, per l’anima: non
tutta l’anima, ma solo l’anima intellettiva; tutta sarebbe impossibile’
(Metafisica, libro XII, 3, 1070, traduzione di Giovanni Reale, Milano, 1978).
Ebbene (cfr. Guido Pagliarino, È Uomo, Pozzuoli (Na), 2007): “Si deve però
notare ch’egli aggiunge, il che non sempre è notato e citato da coloro che
sostengono che Aristotele credesse all’immortalità dell’anima: ‘Comunque, è
chiaro che non occorre affatto, per questo, ammettere l’esistenza delle Idee:
l’uomo genera l’uomo e l’individuo un altro individuo’ (ibid). Dunque, se
l’anima intera non è separabile dal corpo, tuttavia la sua parte più alta
potrebbe esserlo? Intanto, dev’essere chiaro che, comunque, per lo Stagirita
l’intelletto individuale, che nel caso sarebbe più pneumatico che psichico,
perderebbe la personalità nel raggiungere il culmine in Dio, a differenza che
per il reincarnazionista Platone; sappiamo che lo spirito per Platone riguardava
il mondo superno delle idee: dunque, Aristotele ripiegherebbe, in proposito,
sulle idee del proprio maestro: se credesse alla sopravvivenza; ma non mi pare
evitabile l’impressione ch’egli l’ammetta solo per estremo scrupolo, infatti non
manca di ricordare che l’uomo genera l’uomo e che per questo non c’è bisogno
delle idee e, con ciò, ho la sensazione ch’egli sottintenda, ancora una volta,
che per lui solo la specie è eterna. Ricordiamoci poi che gli scritti
aristotelici giunti a noi non costituiscono una trattazione sistematica
destinata al pubblico; e due altre cose vanno tenute presenti, cioè che nei suoi
primi anni Aristotele è ancora legato a Platone e che gli scritti che conosciamo
saranno ordinati e pubblicati molto tempo dopo la sua morte, e non secondo
l’ordine temporale della loro stesura, onde non si può escludere, mi pare, che
l’ammissione inserita nella Metafisica che l’anima individuale potrebbe
sopravvivere sia dell’epoca, per così dire, platonica, espressa cioè prima dei
tre libri del De Anima in nessuno dei quali, invece, tale ammissione appare.”
Presso gli antichi ebrei tutti gli esseri viventi non solo hanno ma sono la
vita, la nefesh circola nel sangue tanto degli umani che degli animali ed è per
questo che il sangue non può essere mangiato: nel Deuteronomio è scritto: “[…]
tuttavia astieniti dal mangiare il sangue, perché il sangue è la vita” – in
lingua ebraica invece di vita si legge nefesh – “tu non devi mangiare la vita
insieme con la carne” (Dt 12, 23). Peraltro non sono caratteristici del solo
Giudaismo1 i concetti espressi dalle parole nefesh e bashar e nemmeno lo è la
ruach ovvero il vento o spirito divino soffiato nella persona affinché viva, si
tratta di concetti comuni ad altre religioni e filosofie coeve. Per quei giudei
che credono alla risurrezione, in ambiente farisaico e non presso i sadducei che
pensano che tutto finisca con la morte, l’essere umano giusto2 risuscita in un
mondo nuovo, è corporeo e il suo corpo, senza difetto alcuno, ha la propria
psiche come nella prima vita – i farisei non suppongono una trasformazione del
corpo materiale in spirituale, come si legge invece nella lettera
neotestamentaria 1 Corinzi di san Paolo –; nelle accademie rabbiniche si discute
sulla precisa età che dimostrerà il corpo una volta risorto, tutti comunque lo
suppongono giovane e bello; la risurrezione avverrà solo alla fine dei tempi; la
persona vivrà in altra terra e sotto nuovi cieli, dove sarà perfettamente
giusta: si potrebbe parlare d’un altro paradiso terrestre; in attesa di
risorgere, secondo i farisei il defunto rimane interamente morto ovvero, con un
eufemismo ch’entra pure nel Cristianesimo, dorme: è lo sheòl, il luogo ebraico
dei morti; i giusti stanno nella parte alta dello sheòl, nel seno di Abramo,
dove sono in attesa di risorgere dietro al patriarca capostipite, i reprobi
stanno in fondo, senza speranza di risurrezione; ovviamente i rabbini e gli
altri spiriti colti del Giudaismo sanno che si tratta di un midrash, cioè
d’un’allegoria cui è sottesa la sostanza d’una verità teologica, un’allegoria
che simboleggia semplicemente la morte dalla quale i giusti risorgono alla fine
dei tempi e gli altri no.
Tale raffigurazione dello sheòl si ritrova pure nella parabola evangelica del
ricco egoista e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31), Lazzaro peraltro che non
dev’essere confuso con l’omonimo amico di Gesù, morto e da lui risuscitato, che
troviamo nel vangelo secondo Giovanni (Gv 11, 1-44).
L’ebreo e fariseo san Paolo la vede similmente agli altri farisei, ma con una
variante; infatti, se è vero ch’egli pure, nella sua epistola di teologia
antropologica 1 Corinzi, dice che l’uomo in terra è un corpo materiale-animale
psichico – chiama corpo la persona completa perché anche per lui il corpo
comprende la psiche e, quindi, coincide con l’intero individuo umano – e se è
vero che crede come gli altri farisei alla vita eterna dei giusti, per lui
nell’attimo dell’assunzione a Dio la persona salvata, cioè giustificata da
Cristo, si trasforma da animale psichica in spirituale gloriosa. Peraltro, se è
pur vero che per il Cristianesimo del I secolo e di buona parte del II un essere
umano è su questa terra interamente materiale e, dunque, è il suo stesso corpo,
sulla base dell’esperienza, a formarne ed esprimerne il pensiero – noi diciamo
grazie al cervello, gli antichi dicevano grazie al cuore –, la stessa persona
può ragionare a livello elevatissimo fin a poter pensare a Dio, diversamente
dagli animali che hanno ricevuto solo un soffio vitale e, i più evoluti, una
capacità mentale ridotta in funzione della mera sussistenza; il Creatore resta
personalmente presente nell’essere umano, cioè ogni persona ha in sé anche
l’indivisibile spirito divino o, in altri termini ancora, in ciascun uomo e in
ciascuna donna ci sono corpo, anima e spirito; ma mentre il corpo e l’anima sono
personali, lo spirito è l’animo stesso di Dio, vivificante la persona e
illuminante la sua mente, tant’è vero che per la teologia cristiana Gesù – il
Figlio uomo e Dio – s’è incarnato per salvare la stirpe adamitica in corpo e
anima, non anche in ispirito: ovvio, ché l’animo dell’essere umano non aveva
bisogno d’essere salvato visto che non è suo personale ma si tratta di Dio
stesso.
Sui cristiani cattolici e sugli gnostici cristianeggianti (a volte
impropriamente detti cristiani gnostici)
Nei secoli II e III3, diversamente dai cattolici, vale a dire dai cristiani
dell’unica Chiesa – lo scisma ortodosso è di là da venire –, i cristiani
gnostici,, ma sarebbe forse meglio dire gli gnostici cristianeggianti
considerando la loro ottica sostanzialmente diversa da quella cristiana,
nonostante figure formalmente comuni come, anzitutto, quella di Gesù, sono
divisi in varie piccole sette, anche se con idee basilari tra loro comuni. Hanno
invece un concetto antropologico diverso da quello cristiano, intendono cioè il
proprio spirito non come presenza indivisa in tutti gli esseri umani del pneuma
vivente e animante di Dio, ma come pneuma personale, anche se lo considerano
quale scintilla cascata in terra dal pleroma divino e sventuratamente
incarnatasi.
La parola pleroma, o pleroma paradisiaco, che generalmente significa pienezza e
fa riferimento alla globalità dei poteri divini, la totalità di tutto ciò che è
effuso benignamente da Dio, è usata non solo dagli gnostici ma anche in ambienti
teologici cristiani. Si potrebbe forse dire l’àmbito di Dio. Comunemente nella
Chiesa si parla di Paradiso.
Secondo gli stessi gnostici, come già per Platone, la materia è male e non l’ha
creata l’Essere perfetto ma è sempiterna e, a un certo punto, l’ha modellata,
facendola divenire il mondo, un incosciente celeste chiamato il Demiurgo, cioè
l’Artefice o l’Artigiano: com’è noto, si tratta di figura immaginata da Platone
per far quadrare la sua visione delle idee superne perfette e del mondo
immanente imperfetto, un sorta di dio minore in preda alla mania di potenza, ma
assai poco capace quale artigiano cosmico; se non fossero stati imprigionati nei
corpi materiali da quel maldestro spocchioso del dio Demiurgo, gli spiriti umani
sarebbero rimasti – preesistenza dei medesimi – felici4. Inoltre per gli
gnostici, antifemministi ante litteram, le donne non hanno lo spirito o, come in
genere si dice imprecisamente, “non hanno l’anima”, e non si salvano, ché per
gli gnostici corpo e anima (anima è qui nel senso classico di psiche, non di
pneuma) periscono, sopravvive solo lo spirito di certuni, cioè di loro stessi,
gli spirituali, in grado d’acquisire appieno la conoscenza nonché rigorosamente
maschi, mentre non si salvano gli esseri umani materiali, ossia gli altri uomini
di sesso maschile, e tutte le donne. Secondo però la fazione degli gnostici
valentiniani, una parte degli altri maschi, detti gli psichici, può avere una
salvezza di secondo livello, non nel pleroma ma ai suoi margini, grazie
all’anima-psiche particolarmente intelligente che consente d’acquisire
grossolanamente la conoscenza.. Risulta inoltre addirittura un’eccezione per le
donne, anche se sicuramente non di cifra femminista: nel vangelo gnostico dello
pseudo Tommaso, seconda metà del II secolo, e nel coevo vangelo gnostico della
pseudo Maria (Maria di Magdala, non la Madonna), la Maddalena, con sbalordimento
del Pietro gnostico che quasi se ne dispiace, viene resa degna di vita eterna
dal parimenti gnostico Cristo, ma non in quanto donna bensì perché egli ha
trasformato in maschile, e dunque (sic) intelligente, l’anima di Maria
Maddalena, consentendole così di raggiungere un livello di gnosi sufficiente
alla salvezza
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