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DAL N. 39 DEL FEBBRAIO 2003 DI "FUTURE SHOCK"

[Direttore Prof. Antonio Scacco, Via Papa G. Paolo I,  6/M - A, 70124 Bari - La rivista ha pure un'edizione elettronica]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lino Aldani, Ontalgie, racconti, Perseo Libri, Biblioteca di nova sf, 2002, pp.287, € 17,50

Recensione di Guido Pagliarino

            È iniziativa lodevole della Perseo Libri di Bologna l’aver creato una collana di grandi opere della science fiction. Sono libri di pregio, rilegati e con sovra copertina. Sedicesima in ordine d’uscita, è stata pubblicata la silloge di racconti “Ontalgie” di Lino Aldani, notoriamente uno dei maggiori scrittori italiani di fantascienza della seconda metà del XX secolo e d’inizio millennio, il più tradotto all’estero nonché termine di paragone per molti autori successivi. Si tratta del primo libro di una trilogia che conterrà l’intera produzione dell’Aldani, comprese le opere che verrà intanto scrivendo. L’iniziativa è tanto più lodevole in quanto si tratta, in notevole parte, di composizioni ormai introvabili. Ogni lavoro è introdotto da una nota dell’autore che riporta, fra l’altro, l’anno di composizione. Precede la raccolta un’utile prefazione di Vittorio Catani.

            Apre la silloge un’opera relativamente recente, “Labyrinthus” del 1998, che presenta, in forma di diario, un personaggio schizoide il quale possiede, o forse solo si convince d’avere, poteri paranormali; una figura in gioco tra realtà e sogno o, forse, tra sogno e sogno che brama realizzarsi col mettere ai propri piedi “la totalità dei viventi”.

            Di quasi quarant’anni prima è il secondo racconto, “Spazio amaro”, 1960, opera ch’era stata dapprima accolta con molte riserve, come quasi sempre accade quando ci sia innovazione, e che contribuì “all’umanizzazione” della fantascienza, a toglierla da un ghetto di convenzioni; l’autore scrive di nostalgie di vecchi astronauti, in un giorno qualunque del futuro, verso il tramonto di quel dì e della loro vita.

            “Screziato di rosso”, 1977, parla di viaggi nel tempo, argomento normalmente sgradito all’Aldani perché da lui ritenuto “impossibile” a causa dello spostamento della Terra nello spazio; e infatti c’è un’altra lettura possibile, che ha come base l’allucinazione.

            Sappiamo che la possibilità del trapianto di organi ha purtroppo anche una conseguenza negativa, i rapimenti al fine del loro traffico. Nel 1967, con “L’altra riva”, lo scrittore anticipa quest’argomento, anche se qui si tratta di extraterrestri la cui struttura è perfettamente compatibile con la fisiologia umana.

            “I curiosi” è tra i primissimi lavori dell’Aldani, anno 1960, un’opera che ha un occhio verso il celebre “La Sentinella” di Fredric Brown, pur non rispettandone il breve canone e avendo un finale più complesso.

            Del 1999 è “Lettera dalla Norvegia”, un breve racconto in forma epistolare, dove la riproduzione dei salmoni ha qualcosa a che fare, oggettivamente o forse solo soggettivamente, con misteriosi impulsi alieni.

            “Visita al padre”, del 1976, fu mal accolto da molti appassionati di fantascienza, perché ritenuto sì un buon racconto, ma per nulla appartenente al genere. Giudicherà il lettore di oggi se quest’opera, un confronto fra due figure emblematiche, la generazione anteguerra e quella, allora ancor giovane, nata dopo il secondo conflitto mondiale, sia, o almeno fosse in quel tempo, fantascientifica.

            Del 1960 è un breve racconto scherzoso, “Pesci gatto per Venere”: questo lavoro destò in Russia, dov’era stata tradotto insieme ad altri dell’Aldani, l’errata impressione che i pesci gatto fossero un’invenzione dell’autore, causa il loro nome ed essendo questa specie ittica, comune invece nei nostri fiumi e laghi, del tutto ignota in quelle regioni; ma alieni non sono qui i pesci, bensì certi pescatori.

            “Il Kraken”, del 1961, sposta di nuovo lo sguardo dalla Terra allo spazio profondo. Un racconto sul coraggio e, tra le righe, sul timore umano, una delle forme di viltà più difficili da abbattere.

            “Babele” aveva avuto una prima stesura, non di genere, quando l’autore era ancor giovanissimo, ed era un racconto rimasto inedito; l’Aldani l’aveva poi riesumato, con varianti, più o meno, fantascientifiche, nel 1981. Un’opera che si conclude in tono fantareligioso, nel quale Dio fa in definitiva, la parte del buffone.

            “Gli ordini non si discutono”, del 1960, è di fondo, afferma l’autore, una voluta imitazione del Brown di “The last Martian”, ma “stemperata dall’originalità dell’affastellamento, della complicazione, che in sostanza rende il racconto diverso e indubbiamente nuovo”: molti personaggi che portano domestici nomi e cognomi si rivelano in realtà d’origine aliena, causa un’invasione silenziosa della Terra.

            “La costola di Eva”, scritto nel 1986, in cui i ruoli dei progenitori Adamo ed Eva, e dunque dei loro discendenti, sono capovolti, più che “un racconto femminista o maschilista a seconda delle pregiudiziali convinzioni di chi legge”, come l’autore introduce, mi pare, e non per quell’inversione dei ruoli, espressione di pressappochismo religioso, frutto di quel luogo comune sul Giudeo-cristianesimo che in Occidente riguarda la maggioranza delle persone, anche intellettuali, le quali non hanno speso tempo nella ricerca in merito. Il racconto si può accogliere come plausibile solo se lo si immagini in una dimensione del tutto onirica, perché teologicamente è inaccettabile, così come d’altronde altre opere dell’Aldani che trattano di Cristianesimo: un sogno in cui non è più vero che, contrariamente a quanto afferma il Nuovo testamento (Paolo), grazie a Cristo “non c’è più uomo, non c’è più donna, ma tutti sono eguali davanti al Signore”.

            Si può dire qualcosa di analogo per “Quo vadis Francisco”, sempre del 1986, e anche qui non tanto per la situazione descritta, quella d’un prete missionario cattolico operante su di un altro pianeta che, per evangelizzare, s’accoppia a indigene (pare che qualcosa di simile, almeno all’apparenza, il giacere assieme a donne locali dietro invito degli ospitali mariti, ma astenendosi dal peccaminoso coito, accadesse anche sulla Terra, presso il popolo eschimese); piuttosto invece, per l’assenza della carità evangelica nell’operare del sacerdote protagonista, il quale si preoccupa solo di costruire su quel pianeta, a tutti i costi, una struttura gerarchica della Chiesa.

            “Gita al mare”, 1967, immagina nel futuro Occidente una crisi degli alloggi causa sovrappopolazione, con famiglie che, come già era accaduto storicamente in Unione Sovietica, vivono nello stesso appartamento; qui però, causa la ristrettezza degli alloggi, in doppi turni, entrando alternativamente in animazione sospesa, una settimana sì e una no, l’una o l’altra famiglia.

“In attesa del cargo” è del 1983, ma le ultime nove righe sono state variate, perché l’autore non ne era pienamente soddisfatto. Come in “Spazio amaro”, si tratta di rimembranze, da parte di un vecchio astronauta, in un porto spaziale.

In “Gesti lontani”, 1978, la Terra non c’è più, gli esseri umani vivono in un altro mondo, squallido, di macchine, da cui è assente la natura e, in particolare, il mare, lo “specchio rovesciato dell’Immenso”. Le macchine stesse provvedono a darne una, mera, illusione e a creare altre realtà virtuali, soprattutto per i bambini e gli adolescenti, tra le quali il gioco “primo amore”, l’unico primo amore oramai possibile, si può intuire, nella nuova struttura sociale del genere umano.

“La luna dalle venti braccia” è un’altra delle prime opere dell’Aldani, anno 1960. Si tratta precisamente d’un racconto nel racconto: uno studente che snobba l’astronomia e vorrebbe divenire medico viene convinto ad amarla dalla lettura d’una relazione d’un antico astronauta e sceglierà infine, a sua volta, di divenire tale.

“Filosofo in pensione”, del 1980, si basa sul presupposto che “l’illazione logica è indipendente dal significato”, una sorta di sillogismo di Rudolf Carnap che all’autore è “sempre suonato come un sillogismo fantascientifico”, il che l’ha portato a costruirci un racconto, in cui tra l’altro leggiamo divertìti, con buona pace di Aristotele: “Premessa maggiore: I pirotti carulizzano elaticamente. Premessa minore: Tipizù è un pirotto. Conclusione: “Tipizù carulizza elaticamente”.

Ne “La tecnocrazia integrale”, 1961, bisogna averne, di cultura scientifica, per un posto pubblico di spazzino di seconda classe! Ben più della preparazione d’un medio ingegnere occorre, per riuscire a superare i difficilissimi esami d’ammissione a qualsivoglia lavoro! Ormai sono le macchine a valutare gli uomini da assumere. In certo modo, si tratta dello specchio, anche se un poco deformato, del presente, nel quale del lavoratore non conta la personalità, l’anima, ma egli è macchina da buttare quando sia esaurita, non persona figlia di Dio come in tempi ormai antichi.

“Ontalgie”, da cui è tratto il titolo dell’intera raccolta, chiude la medesima ed è opera recentissima, del 2002. L’autore vi delinea la figura d’un “solipsista ad oltranza, convinto di muoversi in mezzo a una realtà da lui stesso inconsciamente creata, e che a un certo punto non riesce più a tenere insieme, scivolando così nel totale annientamento”. I personaggi, o meglio, l’io narrante, quello di loro che si potrebbe definire il creatore, si trovano in una cascina chiamata Inferno, forse simbolo del maligno mondo intero, e via via, uno ad uno escono di scena, finché…

Argomento di fondo della silloge sono i mali dell’essere che, come spiega Lino Aldani riferendosi al greco antico, possono tradursi ontoalgie; tuttavia, questa parola è divenuta per lui ontalgie, termine che non esiste nel dizionario e che è “forse meno giusto, ma suona senz’altro meglio”.

Guido Pagliarino