Opere

 

da Talento, 2/2002, Lorenzo Editore

SPIGOLATURE RELIGIOSE:

SULL'UMANISMO SENZA DIO

Guido Pagliarino

 

Vittorio Messori intervistò Giovampaolo II; Giorgio Fabbi, egli pure giornalista, in occasione dell’ultimo Anno Santo ha intervistato addirittura Cristo (*). Non si tratta però del Gesú del cattolico Messori ma, di fondo, del Cristo otto-novecentesco delle scuole razionalista (o critica) e protestante-mitica. La lettura di quest’opera divulgativa che ignora le ricerche della scuola cristiana tradizionalista, mi è di spunto per quest’articolo.

Tutte le scuole storiche d’indagine sul cristianesimo, compresa ovviamente quella tradizionalista, si basano sul Nuovo Testamento, pur se da ottiche diverse. Su Gesú non ci sono infatti altri documenti del I secolo, a parte un brano di Giuseppe Flavio – anni 93/94 circa – , ma nella versione greca interpolato, ad opera di qualche pio copista, con frasi che testimoniano la Risurrezione e presentano quale cristiano quello storico niente affatto convertito; tuttavia, non è così per la versione in arabo scoperta da Shalomon Pinès nel 1972, in possesso dell’Università Ebraica di Gerusalemme, che può essere accolta interamente, proprio perché mancante delle interpolazioni, quale documento della storicità di Gesú, della sua crocifissione sotto Pilato e della primissima Chiesa che ne predicava la Risurrezione. Va precisato che non è affatto antiscientifico assumere come documenti storici i libri neotestamentari. La buona fede degli autori di scritti deve essere ammessa fino a prova contraria, cioè al possibile ritrovamento di convincenti documenti opposti; se si assumesse, per principio, l’altro atteggiamento, non ci sarebbero più testimonianze per la storia antica, in quanto tutte le relative fonti sono di parte, sono apologie. Per gli storici antichi, ma meglio sarebbe forse chiamarli apologisti, contava soprattutto evidenziare la figura della persona che era stata protagonista di un avvenimento. Non sarebbe atteggiamento culturale ma viscerale supporre la mala fede dei documenti di autori cristiani solo perché non se ne accoglie il credo. Neppure i razionalisti lo fecero, considerarono gli apostoli persone in buona fede e, diversamente dal fondatore del positivismo Comte, ebbero stima per la tradizionale figura di Cristo. Tuttavia, per quegli storici il cristianesimo era un ostacolo da eliminare, perché si opponeva all’ideale positivista del genere umano centro di tutto, senza più Dio: abbiamo poi visto, purtroppo, a quali atroci risultati abbia portato quell’idea, nel corso del ‘900 e nell’incipiente 2000. Per quanto riguarda i fatti d’origine trascendente descritti nel Nuovo Testamento, quei critici immaginarono che gli apostoli avessero semplicemente avuto allucinazioni; accolsero solo quanto trovarono utile alle loro tesi, dichiarando tutto il resto mera fantasia, a partire dal fondamento stesso del Cristianesimo, la risurrezione di Cristo. Ad esempio, e cito questo caso perché l’ho ritrovato fra quelli richiamati dal Fabbi, secondo Ernest Renan, che si riferiva ad Atti degli Apostoli, 9, 3 e 22,6, Saulo-Paolo aveva avuto un’allucinazione dovuta al rimorso di aver perseguitato i cristiani, immaginandosi così, schizofrenicamente, l’apparizione del Risorto.: “E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo” e (qui è Paolo che racconta): “Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me”. Per il Renan s’era trattato d’una saetta caduta vicino a Saulo che, scriveva, essendo già in preda ai rimorsi, aveva avuto uno shock; così la sua immaginazione gli aveva fatto vedere Gesú, per cui s’era convertito Tuttavia, negli Atti non solo non si parla di rimorso, nemmeno di qualche debole dubbio, ma, al contrario, Paolo è presentato, appena prima di partire per Damasco a perseguitare, ben diversamente: “Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne seguaci della dottrina di Cristo che avesse trovati”(At. 9, 1-2). Altro che rimorso! Non si fa storia inventando rimorsi che i documenti non presentano. Secondo esempio: David Friedrich Strauss scriveva che i Vangeli riportavano soltanto e niente di più delle aspettative del popolo ebraico di un messia; ed egli ignorava che l’Unto atteso dai Giudei, allora ed oggi, non è anche Dio ma solo uomo, una sorta di super-re politico di un regno terreno di pace, e che l’idea di un uomo-Dio era ed è bestemmia per qualunque credente giudeo: fu proprio questa la motivazione della condanna a morte di Cristo da parte del Sinedrio, d’essersi fatto Dio. Ritenere impossibili i miracoli e la Risurrezione è superbia culturale, è sottoporre qualcosa di trascendente ai limiti della mente umana; ed è sperimentalmente falso che questa sia, come quella di Dio, onnisciente. Non si può ritenere che il miracolo di moltiplicazione dei pani e dei pesci sia impossibile solo perché in contrasto col nulla si crea e nulla si distrugge, né pensare senz’altro a un trucco per la trasformazione dell’acqua in vino: un tempo, si diceva “trucco con polverine”; poi ci si accorse che il testo evangelico parlava di un vino migliore del precedente ed allora si ricorse alla macchinosa idea di una sostituzione di otri con la complicità di Maria. Per definizione, è il Trascendente che comprende l’immanente, non viceversa, e Dio non solo non è da noi sperimentabile - non si può vedere in faccia Dio o si muore, dice simbolicamente la Bibbia, intendendo che lo si potrà vedere solo nell’Aldilà, - ma Egli crea ciò che vuole quando vuole. Il Fabbi intervista un Cristo che, immediatamente, introduce sé stesso come un leader politico: è l’idea di molti storici razionalisti. Non così lo troviamo nei Vangeli: “Date a Cesare quello che è di Cesare”; “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto (…)”. Naturalmente, ci si potrebbe inventare che Gesú avesse parlato così perché ormai nelle mani di Pilato, per salvarsi la faccia, se non la vita; ma allora si tratterebbe di narrativa, non di saggistica: per inciso, che gran romanzieri sarebbero stati il Renan e gli altri! Eppure, proprio essi credevano nella storicità di Gesú, diversamente da Rudolf Bultmann e dagli altri teologi della scuola protestante-mitica, pur concordando tutti che del Gesú storico non si sapeva gran che: quasi niente, per i razionalisti, addirittura niente del tutto, per i secondi: l’esegeta luterano Bultmann affermava, nell’opera Il cosiddetto Gesú storico e il Cristo biblico, che di Gesú non si sapeva il Come (Wie), cioè come egli fosse vissuto, avesse parlato, avesse amato; non si conosceva il suo Ciò (Was), i contenuti della sua realtà e predicazione storiche; si sapeva solo il Dato esistente (Dass), vale a dire la predicazione apostolica. Per la scuola tradizionalista, invece, non solo Gesú è figura storica ma se ne conosce quanto basta. Questa scuola è ricorsa a vari criteri, di cui i più importanti sono quelli di continuità e discontinuità: in sintesi, per il secondo si è stabilita la storicità gesuanica del tema centrale della predicazione di Gesú, il Regno di Dio, della vocazione degli apostoli, delle tentazioni di Gesú, della sua morte in croce, della sua cittadinanza nazarena e di altri particolari minori ma importanti; sono stati confermati col primo criterio molti detti evangelici di Gesú che rivelano l’impronta della lingua aramaica, che al suo tempo aveva ormai sostituito l’Ebraico, la geografia della predicazione di Gesú, lo sfondo religioso e politico degli anni della sua vita terrena; se non è stato possibile costruire una sua precisa biografia storica, si è arrivati però a un essenziale profilo: la sua nascita in un periodo preciso, tra l’8 ed il 4 “a.C”, la sua morte fra il 30 e il 33, la lingua comune aramaica da lui usata, la sua famiglia di modeste, ma non umilissime, condizioni, il suo gruppo parentale, il suo essere vissuto a Nazareth, la morte a Gerusalemme per vergognosa crocifissione, la predicazione tramite parabole secondo la mentalità simbolica ebraica del tempo. Rimando ai tanti testi prodotti da questa scuola, reperibili in librerie specializzate sul cristianesimo. Se si ha Internet, e pur se è luogo comune che non bisognerebbe citarsi, ma non sono mai stato d’accordo (la costruttiva umiltà e l’inutile modestia sono concetti ben diversi), rimando a un mio saggio, all’indirizzo http://www.pagliarino.com/cristianesimo/gesu/gesu.htm , leggibile gratuitamente. Per quanto riguarda l’influenza della scuola mitica su libri ed articoli di autori diversi pubblicati negli ultimi anni, compresa la citata opera del Fabbi, essa riguarda soprattutto la Risurrezione. Come scriveva Martin Dibelius, “in principio c’era la predicazione”: non la reale Risurrezione; per il luterano Bultmann, l’avevo accennato, l’annunzio cristiano, il kerygma, era tutto quanto doveva interessare ad un credente, tutto il resto era mitico-allegorico. In tal modo, i “mitici” distinguevano del tutto il Cristo biblico da Gesú di Nazareth. La Risurrezione, per loro, non era reale, ma un modo per dire che il messaggio cristiano era sopravvissuto a Gesú: d’altronde, per Lutero solo la fede conta, non gl’indizi storici, ché per questo teologo la mente umana è guasta dopo il peccato originale e solo la pura fede può conoscere. Il Fabbi quindi, seguendo i “mitici”, scrive in sostanza che Cristo si sacrificò perché il suo messaggio, quale martire, fosse ricordato e ne venissero frutti. Gli fa dire, tra l’altro: “La resurrezione c’è stata, anche se non è stata la mia di uomo ormai morto e sepolto. I discepoli, ormai esperti di tecniche di comunicazione, utilizzarono racconti fantasiosi per far filtrare più facilmente nel cuore degli ascoltatori le profonde verità del mio messaggio”. Nel Vangelo troviamo invece apostoli ormai del tutto delusi e desiderosi solo di fuggire. Perché, nelle condizioni di abbattimento psicologico e paura in cui si trovavano, avevano immediatamente iniziato a predicare? Senz’aver incontrato il Risorto? O tutti, nessuno escluso e in momenti e circostanze diverse, avevano avuto allucinazioni? Ma l’ipotesi delle allucinazioni sarebbe proponibile per persone fanatiche, sempre e del tutto convinte che Cristo sarebbe risorto, non, viceversa, completamente disilluse. O forse, gli apostoli non erano abbattuti affatto e poi gli evangelisti avevano mentito in merito? Nessun documento lo prova. (**)

(*) Giorgio Fabbi, In verità le dico…, saggio (romanzo-saggio?), Sud Est Nord Ovest – SENO libri., I edizione, 2000, pagg.93, lire 15.000

(**) Il libro del Fabbi si legge volentieri, è scritto in uno stile snello e accattivante. Lo storico del cristianesimo può ripercorrere, sia pure a grandi linee, quanto già conosce delle citate scuole, il lettore che non abbia mai affrontato l’argomento può farsene una prima idea, peraltro col mio invito ad ascoltare pure l’altra campana, quella della scuola tradizionalista, che molto ha dato dalla metà del ‘900, anche se, e dev’essere riconosciuto, grazie pure al costruttivo confronto-scontro con quelle scuole e, ultimamente, con quella dell’Università Ebraica di Gerusalemme.

   

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