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CENTRO STORICO
Porta Palazzo e dintorni 1990
Racconto corale in versi (poema)
Distribuzione Tektime Editore - Copyright © 2019 Guido Pagliarino - Tutti i diritti appartengono all'autore
Vedi la presentazione della traduzione in lingua portoghese di questo racconto corale in versi
Leggi la prefazione dell'autore a questa nuova edizione del poema I A proposito della prima edizione del poema, 1993 I Vedi l'Indice dell'opera I Vedi alcune tra le librerie in cui è in vendita questo poema
Premi ricevuti dalle prime edizioni del poema:
FINALISTA al Concorso "Mario Soldati" 2010 del Centro di Studi e Ricerche "Mario Pannunzio" di Torino I PREMIO SPECIALE alla XIX Edizione Premio Letterario "Città di Pinerolo" 2008 I TARGA FINALISTA al IV Premio di Poesia Renata Canepa 2009 I SEGNALAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA GIURIA al Premio di Arti letterarie 2009
Copertine delle prime due edizioni
Edizione 1993 |
Edizione 2008 |
Le copertine di tutte le edizioni del poema e
delle raccolte in cui esso è incluso sono state realizzate e sono copyright ©
dell’autore
La penultima edizione del poema - a rigore sarebbe la Terza Edizione, anche se
inclusa in volume con molte altre composizioni - è compresa nella raccolta di
versi “Salire in Alto -silloge delle Poesie e dei Racconti in versi dell'autore
dal 1960 al 2017, Libro ed E-book, Editore Tektime, © 2017 Guido Pagliarino
ALCUNE TRA LE LIBRERIE IN CUI È IN VENDITA QUESTO POEMA: TOP
Libro Cartaceo
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E-book
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Libro ISBN 9788893985406
Amazon.it
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E-book ISBN9788893985390 |
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PREFAZIONE DELL'AUTORE ALL'EDIZIONE 2019 TOP
"Centro storico" è un poema epico, o racconto in versi come oggi più comunemente
si dice, un racconto corale che si snoda in "canti" intitolati a personaggi le
cui vicende sono, direttamente o indirettamente, collegate. L'avevo scritto nel
1990; nel ‘92 era stato fra i 19 finalisti su circa 850 opere partecipanti a un
concorso letterario per l'inedito indetto presso il Salone del Libro di Torino
dal Baraghini, l’editore degli allora famosi libretti “1000 lire”. Ampi stralci
di “Centro storico” erano stati inseriti, in seguito al concorso, in una rivista
e l'anno seguente il Centro Studi Cultura e Società – Istituto di ricerca e
documentazione – aveva stampato il poema, lasciandomene la proprietà letteraria.
Nel 2001 l’avevo ripreso apportando varianti, nel 2006, tornato sull’opera,
avevo eliminato circa un decimo dei versi e, infine, alcuni dei rimanenti ho
modificato all'inizio del 2008 arrivando alla stesura che qui ripresento.
Passati ormai molti anni, altri personaggi verrebbero alla penna, ma l’opera
diverrebbe ibrida e anacronistica, il panorama non sarebbe più quello del centro
storico di Torino nell’anno 1990 con quelle figure "nel piccolo mondo che vive a
Torino tra il Duomo / la via Garibaldi ed i corsi Regina e Valdocco", come
recitava un tempo l’incipit del poema, abolito nella nuova stesura: figure quali
quei marocchini, come generalmente erano indicati tutti gli immigrati arabi, che
nel 1990 vendevano per via spugnette e accendini, figure ormai pressoché
scomparse e, come sappiamo, sostituite, a un estremo, da persone inserite in una
seria attività e, magari, raggiunte legalmente dai famigliari, all'altro, da non
pochi clandestini caduti nella delinquenza, dei quali era stato fra gli
antesignani il mio personaggio Omàr Salazìm. Nel 1990 non c’era ancora, e dunque
non appare nel poema, il terrorismo degli estremisti islamici, presenti ormai
purtroppo, com'è ben noto, anche nel nostro Paese, i quali, a Torino, si
celerebbero prevalentemente proprio nella zona del centro detta Porta Palazzo.
Temo che, causa il terrorismo islamico corrente, qualcuno potrà non vedere con
simpatia il mio personaggio del “buon marocchino” musulmano Abdùl Satelèch: i
collettivismi, come recita Ariano lo storico, altra figura del poema, son bestie
feroci, eppure la tendenza a ragionare per insiemi è malauguratamente spontanea
e, sia nella storia, sia nel quotidiano, è fomite d'ingiustizia; ad esempio,
poiché islamici sono i terroristi, ecco che tutti gli islamici sono, purtroppo,
sospettati.
Porta Palazzo, lo dico soprattutto per i non torinesi, è oggi interamente zona
d’immigrati, non solo dall’Africa ma dall’Europa orientale e dall’estremo
Oriente, soprattutto dalla Cina; anzi i cinesi hanno costituito in zona Porta
Palazzo, in breve tempo, una loro piccola China Town, mentr’erano figure
pressoché assenti nell'anno 1990 in cui stendevo il poema. Non più molti sono
gl’italiani in zona, vuoi perché molti dei più anziani, quasi tutti immigrati
dal Sud, una volta pensionati son tornati ai loro paesi s’origine, per nostalgia
e perché la vita là costa assai meno, vuoi perché i più giovani, da tempo, hanno
normalmente preferito traslocare in appartamenti più recenti in periferia o in
una delle località della seconda cintura torinese. È pure di molto diminuito nel
centro storico cittadino, e in particolare a Porta Palazzo, il numero dei
negozianti italiani, quali i lattai e formaggiai Antonio e Lisa che il lettore
troverà nel racconto, esercizi commerciali quasi tutti ormai serrati e
sostituiti, non solo in centro ma nell'intera area cittadina, da iper magazzini,
ciò che, nondimeno, già annunciavo nel poema: senza bisogno d’essere un
nostradamus, in quanto era un futuro non solo prevedibile ma chiaramente sul
farsi, con grossi capitali scatenati a eliminare i piccoli negozi di quartiere,
tanto influendo politicamente quanto diffamando la categoria coi loro mezzi
d'informazione, accaparrandosi nel contempo permessi d'esercizio su vaste aree.
È sopravvissuto però interamente l'ambulantato, soprattutto di alimentari e
abbigliamento, primo fra tutti proprio quello del mercato di Piazza della
Repubblica e paraggi (il più grande d’Europa) comunemente detto “di Porta
Palazzo”, ormai con molti venditori immigrati, prevalentemente cinesi e arabi:
penso ch'esso non finirà perché il gusto del mercato ambulante è in tanti
consumatori ben vivo e, soprattutto, perché i prezzi di Porta Palazzo restano
concorrenziali, a scorno dei mega capitali.
Insomma, il poema mi appare ormai come un insieme di flash – quasi – storici su
di un centro storico torinese oggi in notevole misura diverso e, secondo me,
peggiore; dunque il titolo originale "Centro storico" è divenuto, richiamando
l'anno di stesura del manoscritto, "Centro storico - Porta Palazzo e dintorni
1990".
Un’altra cosa: s’era supposta a suo tempo un’influenza sul poema dell’"Antologia
di Spoon River" e, inoltre, del Pavese di "Lavorare stanca"; così, precisamente,
aveva commentato il mai abbastanza compianto Giorgio Bárberi Squarotti in un suo
biglietto autografo:
Caro Pagliarino
ho letto con vivo interesse questa galleria di ritratti di personaggi di un
quartiere torinese, quasi una specie di "antologia di Spoon River" di vivi (con
qualche morto), raccontata dall'autore - testimone nel verso di ampio respiro,
ben modulato e scandito, da cui i volti umani, le tragedie, le situazioni
paradossali e grottesche vengono fuori con efficace rilievo. Spesso l'attacco fa
pensare a Pavese: con un che di ben più cupo e desolato, tuttavia.
Giorgio Bárberi Squarotti
Sull’opera “Spoon River” mi trovo d’accordo, sebbene la mia lettura del Lee
Masters precedesse di quasi tre decenni la redazione di “Centro storico” e
durante la stesura non l'avessi in evidenza; tuttavia, a cose fatte, non ecludo
affatto che il mio inconscio l'avesse presente; quanto invece al Pavese di
“Lavorare stanca”, con quei suoi versi che a me, amante del ritmo, pur senza
contestarne affatto il valore, tutt’altro, mi suonano un po’ prosastici, penso
che quel grande non c’entri, se non per la piemontesità, tanto come carattere di
fondo, quanto per la comune, intenzionale traslazione in italiano, qua e là, di
forme della lingua piemontese, ciò che però non è invenzione né sua né mia, ma
prassi dell’ormai quasi scomparso popolo subalpino autoctono; peraltro, pare
proprio che il “Lavorare stanca” pavesiano dovesse a sua volta a Edgar Lee
Masters.
Inserisco in appendice al poema la prefazione di Sergio Notario alla prima
edizione dell’opera, presentazione che originava da una posizione metafisica e
ideologica diversa dalla mia; tuttavia, la capacità e l'umanità del prefatore
avevano saputo cogliere sufficientemente bene il mio sentire, nonostante alcuni
punti in cui si notava la lontananza di Sergio dal Cristianesimo; ad esempio,
laddove affermava che il credente sente tutto il bene da una parte e tutto il
male dall'altra, non mostrava d'aver chiara la distinzione fra dolore e male e
il fatto che il cristiano non è affatto manicheo ma, al contrario, sente il
peccato agitarsi in lui, e si veda cosa ne dice Paolo nella lettera ai Romani,
7, versetti18 e seguente: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non
abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo;
infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”: per i
cristiani è vero male solo il peccato, causa di dolore in ogni caso, mentre la
sofferenza non sempre deriva dalla cattiva volontà di esseri umani, basti
pensare a una malattia; ed è proprio qui che, a mio sentire, il Cristianesimo si
distingue dalle altre religioni, col suo Dio ch’è uomo nel suo proprio Essere
eterno e prova anche l’esperienza della vita materiale terrena entro la Storia
(teologo medievale Duns Scoto) assoggettandosi dunque a soffrire e morire a
causa dell’altrui libera scelta (potenti del Sinedrio e del Tempio), rispettando
la libertà concessa da Dio stesso a ogni essere umano. A un certo punto della
prefazione il Notario parlava del miracolo d’una conversione, ma il lettore non
cerchi quei versi, infatti li ho eliminati: da tempo li avevo avvertiti
dolciastri; costituivano il vecchio finale nel quale il personaggio di Vincenzo
il razzista diveniva credente e buono; adesso il poema si chiude sulla stessa
situazione dell’inizio, quella d’un Vincenzo maligno, come normalmente succede
nonostante le preghiere altrui, perché Dio rispetta la libertà di coscienza
donata a ciascun essere umano, e l’assassinio da lui non impedito di Gesù ne è
caso lampante. Sono molto riconoscente a Sergio Notario, poeta oltre che
critico, musicista e tant’altro ancora, che, non limitandosi a scrivere la
prefazione, aveva continuato a seguire l'opera per diverso tempo dopo la stampa,
con presentazioni e letture pubbliche.
G.P.
A PROPOSITO DELLA PRIMA EDIZIONE, CENTRO STUDI CULTURA E SOCIETÀ, 1993 TOP
Scrissi questo racconto in versi nel 1990. Ancora inedito, fu tra i 19 finalisti (su circa 850 opere partecipanti) a un importante premio letterario per l'inedito presso il Salone del Libro di Torino del '92 e, in conseguenza, alcuni stralci furono pubblicati su di una rivista. L'anno seguente, il Centro Studi Cultura e Società - Istituto di ricerca e documentazione - lo stampò. Rinunciai ai diritti d'autore e a qualsiasi altro compenso, mantenendo la proprietà letteraria dell'opera.
Nonostante avessi corretto le bozze, sulla copia cartacea (cose che succedono o meglio che succedevano - la stampa elettronica non c'era ancora - senza che, per questo, si dovessero linciare i tipografi) rimasero ben otto refusi. (**)
Guido Pagliarino
________
(**) Quei refusi non danneggiano il senso, ma il metro sì! Ecco dunque qui sotto l'ERRATA CORRIGE, PER LE SOLE COPIE CARTACEE DELLA PRIMA EDIZIONE (per chi avesse ancora a sue mani una copia, appunto, dell'esauritissima prima Edizione)
Alla pagina/ /al verso Il verso originale è, rispettivamente, quello che leggi sotto
8 7 e invece son loro che ciànno le donne più lasche
12 10 si inducono a aprirgli la via, lo guàrdano male
17 22 perché l'infinito non ha partizioni né gradi;
21 10 "poi torno e facciamo la vita tranquilla dei ricchi"
28 15 e il mese seguente, a denuncia d'un servo degli unni
35 14 parecchi di 'sti poveretti incontrati nel Centro
38 16 in séguito a un brutto episodio di sangue e idiozia:
45 7 In ogni quartiere, e in famiglia, c'è gente che soffre,
Guido Pagliarino, CENTRO STORICO,
Porta Palazzo e dintorni 1990, Racconto corale in versi
PREFAZIONE DELL’AUTORE
CENTRO STORICO - PORTA PALAZZO E DINTORNI 1990 Racconto corale in versi
Vincenzo il razzista
Abdùl Satelèch
Rosario il condomino
Il vecchio ambulante
Don Rocco il parroco
Giovanni il bancario
Omàr Salazìm
Gaia la liceale
I lattai
Ariano lo storico
Arduino parrucchiere per signora
Ajànira Babùtu
Luigi il personalista
Giampaolo il medico
Gianluca l’ambasciatore
Vincenzo, parte seconda
Appendice: PREFAZIONE DI SERGIO NOTARIO ALLA PRIMA EDIZIONE (1993)