Da "Talento", Lorenzo Editore, n.2/2001
GAETANO
ALESSI "CIANCIANA SOTTO LE STELLE"
Ed. Alba - Agrigento s.i.p.
Una netta freschezza pervade questi racconti di Gaetano Alessi, già noto per due raccolte di poesie ed ora alla sua prima prova come narratore. La nota di fondo di quest'autore è la rimembranza dei tempi dell'infanzia, luogo della purezza e della spontaneità del cuore; credente, ha innanzi e manifesta nei suoi scritti le parole di Cristo: "Fatevi come questi fanciulli". Cianciana è il paese siciliano dell'infanzia dell'Alessi. Come altrove, ma qui in modo esclusivo, egli s'immerge in quell'ormai lontana età, goduta negli anni '20 e '30. Non si sa quanto d'affabulato ci sia in quest'opera e quanto debba assumersi come cronaca; sicuramente la memoria sempre modifica le cose, almeno in parte, sublimando i ricordi belli, soprattutto dell'età più innocente; ma proprio in questo è la poesia, nel decantare il reale vissuto nel proprio intimo e nell'esprimerlo al lettore elevato, fuso con la propria anima. Il primo racconto - più un romanzo breve - "Vecchi giochi d'infanzia", ci presenta, sotto pseudonimo, l'Alessi di oggi, ormai in pensione dopo tante vicissitudini di guerra e prigionia e decenni passati a servire ancora la Patria in Polizia come maresciallo con incarichi speciali: il personaggio s'è slogato una caviglia, è per forza in casa, e la mente improvvisamente, per analogia piomba su un episodio della sua infanzia, una gara, in cui eguale infortunio gli era occorso. Di qui, il ricordo inizia a vagare e tanti casi della fanciullezza gli si presentano, episodi della scuola, il timore d'un vecchio rudere che la superstizione crede popolato da fantasmi, un innocente furto di fichi d'India ancora immaturi, e molti altri che il lettore apprezzerà. Quasi ogni episodio è caratterizzato da un qualche "gioco" - sotto altri nomi, giochi noti, in parte, ai bimbi di tutta la Penisola, altri tipici del luogo - che il giovanissimo Alessi conduceva coi coetanei. I più brevi racconti seguenti si possono intendere come un ampliamento del primo. Il lettore può immaginare che, in altri momenti della vita, nuovi ricordi su Cianciana siano affiorati alla mente dell'autore, pronto a fissarli sulla carta. Troviamo sorridendo la figura di "Sebastiano", uomo stimato da tutti e "coraggiosissimo", a sua volta, come il bambino Alessi, alle prese con l'ancestrale paura per i "fantasmi". Spunta, con "L'ignoto fiore rosso", il ricordo d'un episodio antichissimo, tre anni e mezzo appena d'età, quando un semplice fiorellino si trasformava per il piccino, e sarebbe restato per sempre in lui, in qualche cosa di favoloso. Ne "I soprannomi e mestieri", troviamo spiegazione del perché di certi nomignoli che a quanto pare, in paese venivano affibbiati proprio a tutti. "Accadeva in via Pendino" ci dice della calda umana vita d'una strada, quella dove abitava il bambino, ben diversa dalle orride arterie delle città moderne lungo le quali, nel migliore dei casi, bisogna aspettarsi indifferenza del prossimo. "Piattone o piattino?" è un brevissimo racconto che prende lo spunto da un matrimonio per concludere che nella vita... no, qui non anticipo, ché verrebbe meno la curiosità del lettore, e proprio su quel finale questa mini-opera si basa. Seguono tre racconti sulla figura caratteristica de "Lo zio Vincenzo", ch'era ben noto a tutto il paese come scaltra e insieme innocente persona, senza che mai nessuno riuscisse a capire quanto più contasse in lui, se la furbizia e la poca onestà o la spontaneità d'una mantenuta, incosciente fanciullezza. La raccolta si conclude con "I nuovi lutti", dove il bambino è divenuto adolescente e non lontano dal lasciare, per sempre, volontario in guerra, la sua amata Cianciana. In tutti i racconti gustiamo descrizioni degli usi e costumi ormai scomparsi di quel tempo, di quei luoghi ormai mutati, una testimonianza di antropologia culturale. Nell'insieme, sebbene sia sempre presente il piccolo Alessi, si tratta d'un'opera corale senza veri protagonisti o, per meglio dire, la cui protagonista è la cittadinanza di Cianciana, in cui i diversi caratteri s'incontrano, faticano, si divertono, litigano... L'autore, in uno stile scorrevole, riesce a dare al lettore l'impressione della vita vera.
GUIDO PAGLIARINO
ANTONIO
TROTTA "USO ED ABUSO DEI COSTUMI"
GET Editrice - L. 25.000
Questo saggio costituisce una nuova tappa della ricerca esistenziale dell'autore, di cui conosco e apprezzo precedenti pubblicazioni. Si tratta di un'opera vasta e articolata, impossibile da analizzare in dettaglio in breve spazio. Mi limiterò a impressioni. Intanto, un appunto: manca la bibliografia, che peraltro ho, almeno in parte, intuito leggendo l'opera, come "Al di là del bene e del male". Penso che ogni libro di saggistica dovrebbe pure indirizzare il lettore, se lo desidera, a un personale approfondimento, con l'indicargli i testi consultati dall'autore. Per carità, non si tratta affatto d'un'eccezione! Un ben noto scrittore cattolico non ha mai messo un rigo bibliografico al fondo dei suoi saggi divulgativi; ma faccio anche a lui quest'appunto. L'evoluzione sociale, afferma il Trotta, non ha mutato, di fondo, il sentire di noi contemporanei, se non nelle forme e neppure sempre. La sudditanza psicologica a regole sorte in funzione del dominio di capi, così come fu nell'antica tribù preistorica, resta. L'autore presenta una tesi radicale e discutibile, come tutto d'altronde, cominciando da questa mia nota: che le norme morali e religiose siano il mero prodotto degl'interessi della classe dominante di oggi, dei capi branco di ieri, per il proprio personale potere; tesi che fu già del Marx. Con queste norme, riuscendo grazie alla dialettica a convincere il gruppo di cui sono parte, i meno forti ma più intelligenti emergerebbero e soggiogherebbero gli altri, imperando: re e sacerdoti; anzi, sacerdoti-re e re-sacerdoti. Ogni religione, tesi che fu già del Deismo, un mero prodotto umano su di un fondo di inconoscibile Verità; in più, un prodotto interessato; un insieme di "superstizioni", le definisce questo scrittore, create artatamente per prevalere, "superstizioni" vive tal quali ancor oggi. Alla base del pensiero trottiano è manifestamente il Nietzsche, non il Marx; peraltro le idee dei due filosofi furono assieme in molte menti negli anni della "contestazione". Dico del Nietzsche nella sua genuinità, dopo che certe interpolazioni nei suoi scritti da parte della terribile sorella Elisabetta, nazista, che distorcevano del tutto il suo sentire, furono espunte dai critici; genuino pensiero da cui trae quello "debole" contemporaneo o, come si usa dire con un bisticcio, postmoderno: a mio sentire, a sua volta una vera e propria iattura per la società, resa ormai preda dell'anomia, dopo decenni di rifiuto del sacro sulla base del soggettivismo etico. Nel disastro che ne è venuto e non sempre per caso, ché in un non lontano passato molti tentarono di conquistare il potere prima distruggendo, tramite nichilistici antiprincìpi, e qui dopotutto sono col Trotta sia pure specularmente perché si parla di anti-norme, ebbene, assistiamo da qualche anno a una rinascita della "voglia" di religione, nelle sue classiche forme cristiane, in non pochi giovani senza fiducia nelle laiche istituzioni, rivelatesi impotenti ad assicurare almeno un minimo di serenità sociale come - "l'albero si giudica dai frutti"- i laicisti "maestri del pensiero" che, sin dall'Illuminismo, passando per il Positivismo, tentarono di fondare l'esistenza degli esseri umani soltanto sull'Uomo, ignorando Dio. Mi sono reso conto, leggendo queste pagine, che l'autore non ha studiato il Cristianesimo che mi sembra intendere secondo i luoghi correnti piuttosto che nella reale sostanza teologica. Altrimenti, ad esempio, saprebbe dalla Lettera agli Ebrei, ma di fondo da tutto il Nuovo Testamento, che la reincarnazione è esclusa dal pensiero cristiano; reincarnazione a cui invece il Trotta, pur considerandosi, come mi disse, assolutamente cristiano, guarda con simpatia. L'etica cristiana è avversaria della natura animale dell'uomo, quella natura egocentrica, il "farsi il proprio territorio", che nell'essere umano si definisce egoismo e superbia: il cosiddetto peccato originale. Tutta l’etica insegnataci da Cristo riesce, bene o male, e raramente, nei santi, benissimo, a concretarsi nella quotidiana pratica morale col superare, solo grazie alla preghiera, e dunque alla Grazia, l'istinto naturale. La preghiera è ascesi, l'ascesi è amore, Amore è Dio; il diavolo, che lo si intenda come creatura angelica decaduta o come simbolo del male, ben è stato definito "la bestia". Abbandonarsi alla natura, alla "energia che esiste nell'aria" è peccare. No, non credo, a differenza dell'autore, che così l'uomo s'elevi: proprio al contrario, in quanto la violenza è in natura, nel suo equilibrio. Perché Dio ha creato il mondo così? E perché mai ha nel suo proprio Essere (Dio È immutabile, non sceglie, a un certo punto d'incarnarsi) l'umanità e, in questo, il soffrire lui pure? Resta un mistero che riguarda l'Infinito, irraggiungibile dalla nostra limitata psiche; ma a me importa che abbia sofferto, come e più di molti di noi, e dunque che solo quello cristiano, nessun altro, è un Signore che merita adorazione. Altrimenti...! Il Trotta parla di animali rilassati; ma certo non tali si possono vedere le altre bestie loro vittime, per le lotte interspecifiche, soprattutto durante la stagione degli amori, e il leone arriva anche a uccidere i piccoli della femmina perché essa ritorni in calore, e le prede eterospecifiche della loro fame divorante. L'uomo non si comporta diversamente con gli altri esseri viventi e con i suoi simili, se si abbandona alla sua natura materiale. Per il Cristianesimo, e lo sottolineo perché il Trotta ama il Cristo e si sente cristiano nel suo profondo, tutto il cammino verso la santità è una lotta contro le tendenze spontanee, è combattere la propria parte animale-naturale, a favore di quella soprannaturale, comunemente detta anima; ma su questo concetto, troppo ci sarebbe da discutere. Resta comunque un'opera interessante, frutto di meditazione. L'ultima parte è a mio parere la più alta. In essa meglio s'esprime la genuinità dell'autore, sulla sua esperienza di vita piuttosto che su fonti filosofiche.
GUIDO PAGLIARINO